Vincenzo Chiazza nasce a Cianciana, in provincia di Agrigento, nel 1944. "La risorsa principale del mio paese erano le solfatare", ricorda. E lui, da ragazzino, andava spesso a giocare "in campagna, vicino alle miniere di zolfo. Li trovavo la creta scartata dagli operai, ideale per modellare le mie piccole statue". Nasce così la sua passione per la scultura. "In seguito cominciai a lavorare anche il legno: il ciliegio, il tiglio, l'olmo, il noce. Nella falegnameria vicino a casa mi facevo dare i pezzi di legno da intagliare. Le pietre, invece, andavo a cercarle nei letti dei torrenti". Dopo gli studi all'Istituto d'arte di Sciacca, Chiazza abbandona la sua Sicilia per il Nord. Milano è la prima tappa. Qui, negli anni Sessanta, entra in contatto con Floriano Bodini e stringe amicizia con Francesco Messina.
Nel 1970 si trasferisce a Torino. Aderisce alle iniziative dell'Associazione Piemonte Artistico e Culturale e della Società Promotrice delle Belle Arti, dove terrà diverse personali. Comincia a lavorare in Fiat, ma non rinuncia per questo alla scultura. "Adesso lavoro più di prima", racconta. "Fino a notte fonda scolpisco, disegno, faccio modellini. La notte è il momento più propizio per creare. Il suo silenzio e le sue ombre favoriscono la concentrazione".
La scultura è per l'artista un mezzo per comunicare: "è il mio secondo linguaggio". Un linguaggio che con gli anni e andato affinandosi, passando dal figurativo a forme essenziali, surreali quasi astratte. Le curve levigatissime e sensuali delle sue Maternità rimandano a Hans Arp o Henry Moore, così come le superfici tormentate.
Licia Spagnesi