La "Creazione scultorea" comporta una attenta volontà, richiede una eccellente padronanza del mezzo tecnico e soprattutto una profonda crescita dell'intuizione sensoriale. Visione e pensiero si amalgamano, si integrano e si completano fino a scaturire uno sviluppo interiore. Il tutto, sull'onda di una forte spinta di dialettica emozionale. La capacità di trasportare le sensazioni mentali, diviene possibilità di confermare le stesse con modulazioni scorrevoli e intensi passaggi plastici. Ciò, è quanto si evince da un'istintiva lettura della variegata produzione artistica di Vincenzo Chiazza.
Marco Rosci, Paolo Fossati, Francesco Poli hanno evidenziato che il succo di una produzione riferita a scultori come Jean Harp, Henry Moore e Alberto Viani può essere stata una linfa vitale per l'artista. Non già perché da esso seppe trarre concetti o spazi di modernismo , ma perché venne a scoprire quello che di essenziale e vero era in se stesso, seppe scandire cioè la sua personalità.
Se la sua opera fosse rimasta ancorata al linguaggio figurativo tradizionale, non avrebbe rispettato la sua chiara adesione ad un "iter" psicologico che da anni era "in pectore" e che ora prendeva luce: quella fase "naturalistica iniziale" servì sicuramente da bagaglio culturale per formare il substrato della produzione odierna .  
Composizioni materiche in creta, gesso, bronzo e legno sono modellate e patinate con coerenza e rigore sino a raggiungere il senso di uno slancio plastico, snodandosi nel continuo rinnovo dei soggetti che si attagliano.
Dalle "Maternità" agli "Amanti", dalle "Figure" alle varie "Forme" si assiste ad un disgelarsi crescente di un'emozione visiva che trova il suo senso nel pieno raggiungimento del processo di creazione. Potremmo dire che tale emozione si esercita anche nella ricerca della specifica presa di coscienza di quei contenuti che possono meglio rilevare l'azione propulsiva dove pare che l'anima nostra riesca meglio ad espandersi. Esiste una mediazione fra l'istinto e la cultura, e se a quest'ultima sembra sia concessa la prerogativa dell'accettazione, del rifiuto, del significato cioè dell'opera della sua integrità, non meno ai dati istintuali è assegnato il potere di dare all'opera stessa la sua sostanza umana. Se infatti il lucido esercizio culturale analitico lavora per smaltire l'opacità dell'opera, la tensione spirituale dell'artista viene a mediare il fenomeno in atto e a dare corposità e forma: un oggetto, una figura, una cosa. E non di rado la "figura umana" costituisce il soggetto del percorso artistico di Chiazza, proprio perché essa sprigiona un sentimento che è flusso di coscienza, che è dimensione di vita, che è recupero della nostra realtà esistenziale. In essa, l'artista trova la sua profonda umanità, come profondo è il senso del rapporto fra umanità e sogno, quel suo suadente abbandono, la sua fragilità esistenziale. Dietro ai volti e alle figure del periodo iniziale c'è un mondo trascorso, una storia che si rifà vita, una realtà sensibile e delicata.
Il rinnovamento, non è mai ripudio di precedenti esperienze ma semmai appunto ristrutturazione di un discorso che varie esigenze spirituali ed espressive hanno voluto incardinare su una strada più aggiornata, ricca di motivi dominanti e di legami con la realtà intima dell'artista. In lui, vi è il desiderio e l'impegno di sollevare da una realtà presente e comunicante la percezione di una compatezza nuova, la volontà di coniugare gli aspetti del reale e dell'immaginario, la normativa di un nuovo linguaggio.
È un impegno, una continua volontà di concretizzazione spirituale, evolutiva, partecipativa, che conduce alla ricerca di una diretta comunicazione, ad un grado di positività, identificabile nel suo atteggiamento umano che aspira alla conquista impetuosa dello spazio.

Aldo Picco

Vincenzo Chiazza