Vincenzo Chiazza vanta un'ampia bibliografia, con testimonianze di Paolo Fossati e Lucio Cabutti, Floriano Bodini e Renzo Guasco; e di recente Guido Curto annota che le sue figure "sembrano volersi liberare dalle immanenze giungendo così a un immaginario popolato da archetipi infiniti e indefiniti", mentre Marco Rosci sottolinea la "massima potenzialità animante della luce".
Diplomato all'Istituto d'Arte di Sciacca, dal 1970 vive a Torino ove espone costantemente presso le sedi del Piemonte Artistico e della Promotrice delle Belle Arti; per Chiazza sono state realizzate una quindicina di mostre personali che portano l'attenzione sui "Ritratti" (interessanti le immagini di "Gabriella Cohen", di "Emanuel", di "Nina", di "Sonia"), sulle "Ballerine" in riposo, sulla salda e arcaica "Maternità", sino a che il suo discorso diviene sempre più essenziale sfociando in una serie di "forme" che traggono spunto da "Gruppi di famiglia", "Amanti" stretti l'un l'altro per sempre (cemento, 1987) sino all'immagine ispirata alla Maiastra di Brancusi, in gesso dalle mille striature.
S'affollano così molte opere decisamente interessanti, esposte a Venezia come a Torino, raccolte nell'ampia monografia che Fossati dedica allo scultore nel 1996, nelle quali si legge il desiderio di ritrovare l'eco d'un mondo surreale fatto di essenziali emotività, di mistero; sculture che vien voglia d'accarezzare poiché ricche di palpiti di vita, forme nello spazio che della figura mantengono il "pathos", che giungono, nel "Bacio", a sintetizzare il desiderio.
Il tema della "Pietà" (bronzo), infine - con l'immagine del Cristo che scivola a terra secondo un celebre modello rinascimentale - che s'è fatta essenziale attraverso la lettura dell'opera dei maestri del Novecento, uno dei quali conterraneo di Chiazza, senza che ciò significhi scordare il sentimento desunto da sculture ben più antiche, testimonianza di lontane grandezze.

Gian Giorgio Massara

Vincenzo Chiazza