All'inizio furono ritratti e corpi umani. Volti e membra di un naturalismo idealizzato, espressione di serenità, di un equilibrio emotivo stabile. Si trattasse degli anziani genitori o della sensualità trattenuta di giovani ballerine, di visi di bambini o adolescenti. Un naturalismo che a metà degli anni ottanta evolve verso una purezza ideale, una bellezza armonica, musicale. Una ricerca in cui il corpo umano si dipana in linearità pura; una ricerca in cui la forma raggiunge la sintesi essenziale. È nel corso di questo processo di semplificazione che Vincenzo Chiazza passa dalla figura all'astrazione. Il suo astrattismo non è che un'altra forma di figurazione, sempre legato a immagini di memorie affettive, a emozioni profonde e quotidiane: maternità, baci, abbracci. Se i primi lavori risentono della grazia di Francesco Messina, che l'artista conosce a Milano negli anni Sessanta, i più recenti sono legati alla lezione di due grandi della scultura come Arp e Moore. Caratteristica dei lavori di Chiazza è l'estrema cura della materia, la levigatezza specchiante, quasi compiaciuta, dei materiali. Che sono i più diversi: legno, bronzo, terracotta, gesso. La storia dell'artista (Cianciana, Agrigento, 1944) è singolare. Diplomato all'Istituto d'arte di Sciacca, si trasferisce prima a Milano poi a Torino, dove aderisce alle iniziative dell'associazione Piemonte Artistico. Ama lavorare soprattutto di notte, quando a ispirarlo non è il silenzio, ma il movimento insieme reale e fantastico delle ombre.
Beba Marsano