Presentazione Monografia
Vincenzo Chiazza scolpisce maternità, forma coppie amorosamente avvinte, propone donne, fanciulle, qualche torsione di lotta. Siamo cioè di fronte alle opere di uno scultore figurativo.
Non facciamo fatica a vederne i tratti, i modi, le rifiniture, i profili. Ognuna di queste figure è ben riconoscibile, rappresenta un'immagine serena, le madri ed i fantolini, le ragazze, le donne, rientrano in forme ferme e felicemente definite, le coppie accostate ed armonicamente conchiuse. Figure come momenti assoluti, dunque; corpi e movimenti ricondotti ad immagini totalmente definite, a forme al riparo da drammi, dagli strappi, e dalle difficoltà e paure di un tempo definito. Le figure e le forme che Chiazza ha scolpito sono degli archetipi, cioè delle idee di figura e di forma.
Scolpisce forme, Chiazza, ma non le cerca per racchiuderle entro una loro immobilità figurativa. Ogni sua opera arriva sino a noi dandoci una sensazione di essere li, per il nostro piacere di spettatori dopo un lungo viaggio.
La precisione plastica, cioè, si accompagna all’avventura di un artigiano molto abile ed abilmente mostrato, tanto estroverso e così attento ai risultati da rendere misteriosi i pesi dei legni cha ha adottate, le misure delle forme, gli ovuli, le tensioni prescelte, il gioco fluente dei volumi e gli improvvisi risucchi, i ritorni all’interno dell’oggetto nelle sue pieghe più morbide.
Il detergere la materia e il muoversi delle curve e dei volumi ben stilizzati mette in gioco un attento piacere del fare minuto, esatto, artigianale che ha radici lontane. Le stesse che Chiazza ha imparato a valutare nei bronzi di Francesco Messina, nel legno del più stirato e terso Bodini, in certi volumi di Mastroianni, persino, per fare ancora un nome di possibile riferimento, nei lavori di Manzù. Per non dire negli organismi ossessivamente candidi di Viani. Lo spazio di Chiazza si è ricavato tra l’intendere le figure come messa in evidenza di un repertorio oramai astratto (volumi, forme e geometrie) e l’eseguirle senza perdere di vista ciò che astratto non è (i volti, la dolcezza di curvatura dei ventri, l’architettura appena mossa dei corpi) appartiene ad una tradizione cui non è sbagliato attribuire l’etichetta del neoclassicismo.
Come dire: ognuna di queste immagini viene di lontano, richiama così prosciugati e assolati e stilizzati riferimenti da evocare una nostalgia di ritmi sereni, di rapporti geometrici che solo le sale di un museo archeologico, di una cipsoteca rinascimentale può soddisfare.
Chiazza recupera quel lontano mondo sereno in termini di capacità materiale, di mestiere ed artigianalità. Se di nostalgia si tratta, ed è fatalmente così, sarà una nostalgia che non si ripiega su se stessa, che non diventa malinconica. Chiazza preferisce usarla per catturare sensibilità sottili, una sensualità intensa, continua, diffusa, una laboriosità ostinata.
…vien fatto di pensare che De Chirico occhieggi di lontano. E non perchè Chiazza mutui gli ovuli, i corpi, le fluenze vitali delle sue lustre superfici in manichini, musi o trovatori metafisici. De Chirico occhieggia per il modo con cui il colloquio fra osservatore e scultura si da il caso, avvenga nel caso delle opere di Chiazza. Con una emotività sensuale, e, appunto, misteriosa, soffice e insinuante, come accade non troppo spesso nella plastica contemporanea.
Paolo Fossati